La Fondazione

La Fondazione queste opere le sta attuando e per renderle immortali abbiamo bisogno di quelle persone che aspirano ad essere eroi di un quotidiano fatto di solidarietà sociale. La nostra volontà è di costruire insieme una storia fatta di individui che si liberano delle catene della sofferenza, dell’esclusione. In quest’ottica vogliamo creare una comunità che continui a scrivere pagine di storia, rafforzando l’idea che esistono gli “eroi” come Filomena.

Pertanto, se anche tu condividi il valore della solidarietà sociale, ci farebbe molto piacere se partecipassi alle nostre azioni.

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LA MIA STORIA

Sono nata a Castrovillari nel 1985. Città tranquilla persone tranquille, un palcoscenico già narrato. Ognuno rappresenta la propria vita, il proprio teatro. Nei camerini spesso le tensioni e le tristezze di chi recita solo un monologo. Ben confezionato, ma pur sempre solo un monologo.Nel mio teatro i camerini erano occupati da attori e figuranti, muti e urlanti, sordi e sensibili ai rumori ma non ai suoni; tutti si nutrivano dell’attore principale che a sua volta nutriva gli spettatori. Ho vissuto sin dall’adolescenza le tensioni generate da questo disordine di ruoli; immaginate le rappresentazioni sul palco…. a me non sono mai mancati vestitini e giocattoli di scena, è mancato altro. Il mio ruolo preferito era rincorrere attori e figuranti per rassicurarmi e nutrirmi dell’affetto e dell’amore che ognuno di noi ricerca tra i propri cari. Ho cercato di nutrirmi degli sguardi, delle espressioni, dei gesti delle persone con cui ho condiviso la scena in quegli anni. Sono stata fortunata.  Nella relazione triadica almeno uno mi abbracciava. Sono stata fortunata. Ho sviluppato percezioni ed emozioni che, nelle relazioni con gli altri, mi hanno “naturalmente” aiutato a capire le persone che soffrivano per una esclusione. Nel corso degli anni questa mia sensibilità l’ho trasmutata in un pensiero forte, vivo, dominante, stante la situazione sociale che avevo iniziato a vivere da studentessa liceale ed universitaria. E’ così che “naturalmente” sono diventata antagonista verso ogni forma di pregiudizio, emarginazione, sofferenza, deprivazione, violenza e povertà sociale.

All’Università ho constatato che non ero sola nella mia rabbia contro l’ingiustizia e la sopraffazione sociale. Era un comune sentire che traspirava dalle esperienze altrui; un essere e sentire che consentiva una comunicazione e rapporti sempre più simbiotici e che “naturalmente” ci hanno portato ad un pensiero ed un’azione comune di contrasto verso tutte le forme di privazione individuale e collettiva dei diritti sociali. E’ stato così che abbiamo vissuto il nostro teatro, il nostro palcoscenico in cui abbiamo rappresentato l’impegno sociale e politico verso la riappropriazione dei nostri diritti e della nostra vita.

Ora ho calato il sipario e mi sono trasferita in un altro teatro dove tutti, nessuno escluso, siamo attori e spettatori, tutti udenti e parlanti, tutti con la stessa possibilità di amare.